A voler guardare oltre il luccichio pubblicitario del marketing territoriale, il disastro paesaggistico del Salento è proporzionale alla constatazione della sua pressappoco unica destinazione colturale, quella dell’olivo. La monocoltura dell’olivo costituisce la coltura agraria principale e al contempo la matrice ecopaesaggistica dominante del territorio salentino. Per un’analisi più organica e soprattutto utile a dare risposte e indirizzi operativi bisogna indagare e soppesare preliminarmente la valenza ecosistemica di questo paesaggio.
Si scoprirà ciò che è nell’evidenza più macroscopica: vale a dire che questo paesaggio sia stato rovinato è vero da una unica fitopatia che vi si è abbattuta, ma che tale rovina non sarebbe mai potuta avvenire, con queste proporzioni, senza una carenza ecosistemico-strutturale di questo stesso paesaggio.
Se questo paesaggio vegetale è stato rovinato da un’unica fitopatia, ciò ha potuto verificarsi in quanto esito di un’unica estesa monocoltura (due cultivar).
È di tutta e scontata evidenza che un paesaggio eterogeneo (presupposto di un ambiente biodiverso) avrebbe subito una diversa e ben più contenuta crisi. Avanzando tra queste vaste necromasse legnose sento che non esiste una ricetta unica di rigenerazione ambientale così come non regge più l’dea di un paesaggio uniforme.
L’intensa osservazione del paesaggio vegetale disintegrato insegna a vedere l’espressione visibile dell’invisibile squilibrio sistemico che lo ha causato e a comprendere come ciò a sua volta sia stato indotto da una destrutturazione funzionale a scala paesaggistica.
Tornano alla mente teorie medioevali della bellezza universale “Invisibilis pulchritudinis imago est”* (la bellezza visibile è l’immagine di quella invisibile).
*Coelesti Hierarchia dello Psedo-Dionigi l’Areopagita.