Per chi è soltanto affollato dai pensieri sui luoghi che attraversa, scriverne è sempre un’attività avventurosa con sé stessi che non si sa mai dove conduca. Proporsi una profonda purificazione psichica dello sguardo per cercare di evitare di imporre le proprie proiezioni davanti alle visioni. Ma è solo uno strenuo tentativo quello di diluirsi e confondersi nel “mondo che guarda il mondo”.
Nel guado di questi pensieri si confondono piante, alberi, olivi, articoli scientifici, rotocalchi locali, chiacchere da bar. Olivi sbiaditi dalla malattia e dalla mediaticità del fenomeno patologico. In Salento, davanti ad un olivo, con sintomatologia Codiro – Xylella, c’è chi vede un albero mezzo morto e chi lo vede mezzo vivo e così di conseguenza, il paesaggio olivetato circostante. Sono luoghi sospesi e semivivi ai quali non ci si abitua facilmente, che generano urti umorali e impazienze, pensieri diversi ed estremi che scappano, spesso senza affrontare, la pazienza della ricerca delle soluzioni. C’è chi vede ancora qualcosa da curare, chi vede, irrimediabilmente, solo oliveti secchi da sostituire in fretta con nuovi impianti. C’è anche chi ha sostenuto che il nostro territorio sia ormai diventato “una pagina bianca da riscrivere completamente” manifestando una forma acuta e senza rimedio di quella cecità vegetale che sappiamo caratterizzare antropologicamente l’umanità.
Allo sbiadire della tela, a guardar bene, ecco evidenziarsi cornici di paesaggio, per poi finire di rimanere sorpresi di quanta vegetazione fosse diluita nella prevalente trama olivetata.
Il paesaggio salentino non è (solo) oliveto né, men che meno, olivicoltura.
Mai più monocoltura agrilogistica, monotonia territoriale, noia del vedere.
Come ci insegnano gli ecologi, il paesaggio vegetale è uno specifico livello di biodiversità, perciò la sua conservazione e gestione dovrebbe di conseguenza essere attuata con i criteri di conservazione e gestione della biodiversità.
La biodiversità, è vero, costituisce il cardine dell’organizzazione della vita sulla Terra, ma il suo vero ruolo deriva piuttosto dalla coordinazione di funzioni (poco studiate).
In assenza di integrazione, quindi, non è possibile parlare di biodiversità, ma solo di “presenza accidentale di diversi”.
Una razionalità aiutata da pensieri distensivi che derivano da luoghi forse più immaginali che reali, dove è tutto un vedere paesaggi altri, nel paesaggio, che guardiamo.