Sono uscito con l’idea di camminare e di compiere uno studio di paesaggio della zona.
Avanzo per il sentiero mentre si dischiude dinnanzi un collage di poliedriche forme colorate, mi dico solo casualmente vegetali.
Una varietà sregolata di diagonali, semirette, segmenti, tratti di superfici geometriche, masse cromatiche in chiaro-scuro che si separano a volte nettamente, altre volte in dissolvenza in un gioco improgettabile. Un affresco sospeso in un crocevia spazio-temporale tra la botanica, la geologia, il lavoro umano e il caso.
Mentre mi astengo dal discriminarne i contenuti, il tutto mi appare in un piano sullo schermo dello spazio aperto, come in un disegno di un bambino.
Qui dove è stata inventata la prospettiva mezzo millennio fa, il paesaggio sembra proprio poterne fare a meno.
Pomeriggio uggioso di fine primavera in una composizione di buone colture del vino e dell’olio incorniciate dentro essenziali geometrie di querce, cipressi, pini in cui conta solo l’apparenza materica e cromatica che il paesaggista le chiamerebbe figure efficaci.
Paesaggi storici, in continuità e in divenire, dove “il tutto precede la parte”, tra il rurale e il forestale dove il progetto che ne evinco sta soltanto nella densità dello sguardo che ne fa un’occasione di perfezionamento en plain air.