Quegli agapanti nello spartitraffico di fronte la pasticceria mi danno ogni anno molto da pensare. Quando li piantammo, con l’amico Antonio, oltre dieci anni fa, avevamo una diversa concezione della vita urbana. Sognavamo la città giardino.
Oggi credo, non li pianteremmo più, forse. Fatto sta che ogni anno, in queste settimane di giugno, da almeno un decennio, la sorte di quei fiori mi procura uno stato di cronica preoccupazione, che oscilla tra l’ansia e la rassegnazione.
Tale stato d’animo, che qualche giardiniere potrà comprendere, cresce proporzionalmente con l’elevarsi degli scapi fiorali sino a raggiungere il culmine a fioritura incipiente. Ciò deriva dal fatto che qui sta per manifestarsi l’attesa di tutto un anno.
Questo è il momento che rischia di più, proprio quando sta per inverarsi.
Eccole, stamane, le prime cimature: scorgo vari gambi senza più l’apice fiorifero. Il lavoro di un intero anno perso (e rimandato) per mano di qualche reptomane ominide annoiato.
Su quei gambi mozzati, al posto del fiore ormai perso, si erge un più inquietante dubbio: non sapremo mai se si trattava di una infiorescenza bianca oppure azzurra.