Trovarsi quasi casualmente alla fine di una stradina sterrata che si apre davanti, con l’idea di essersi persi, in una dimenticata scatola di cielo con il pavimento tappezzato di piante varissime che fanno straniare senza meno per la loro intensa vividezza.
È difficile lasciar perdere l’ansia della rovina, tante sono accanto e all’orizzonte le murature e le coltivazioni.
Domenica pomeriggio, in un’enclave dell’apparente casualità fuori dal tempo e dallo spazio, dove tutt’intorno la distruzione si è portata avanti.
Qui ciuffetti, cuscini, tappetini, steli, si intrecciano e giustappongono, che non si capisce mai come facciano a mantenersi così giardini, quasi per far piacere a chi confidasse solo nelle apparenze delle forme e dei colori, quali materie cromatiche con una propria essenza estetica, senza altro scopo se non quello di solleticare lo sguardo che non domanda descrizione ma solo impressione.
Tutto il fulgore frammisto di queste famiglie di piante sorge e tramonta senza che se ne accorga nessuno.
Peccato per l’occasione persa di stare più vicini alla vita intorno.