Partecipare ad una conferenza sulla pianificazione del territorio è un vero supplizio. Intendersi su cosa sia bene o cosa sia male per esso è una fatica sfiancante. Il paesaggio è difficile da tutelare quanto è difficile da definire. Non si può conservare nulla del mutamento continuo percepibile alla scala dei nostri sensi.
La pianificazione di un territorio avviene inevitabilmente nei termini dell’attestazione di una posizione centrica. Trattando di paesaggio, rendiamoci conto, anche l’umiltà è tracotanza. Un buon esercizio di umiltà si manifesta più spesso come un vizio di presunzione. In pochi sono persuasi che si possa non decidere la destinazione di un luogo senza che anche ciò abbia ugualmente delle conseguenze.
Il meglio che possiamo fare è quello di mantenersi nel flusso delle trasformazioni deflettendole ai fini umani più necessari. Occorre più che altro capire la omeostasi locale nell’omeoresi globale, la stabilità precaria del sistema nella variazione degli scorrimenti; assecondare i processi naturali con contenta ubbidienza.
Il buon cittadino antiquato fa ancora la coda allo sportello dell’ufficio tecnico per far la spesa al banco della salumeria del territorio.
C’è una desolazione perfetta nel trovarsi con una mezza sensibilità in una terra dalla bellezza dimezzata.