Ginetto, il mio amico amministratore comunale, mi parla con un incontenibile entusiasmo di “fare rete”. Con la sua idea progressiva della storia vede dappertutto opportunità di connessione e di sviluppo per l’umana società. Mentre camminiamo nel territorio del suo Comune attraversiamo i più vari contesti rurali, mentre ci addentriamo dobbiamo continuare a parlarci per non rimanere muti davanti ad un paesaggio che ci assorbe con il suo impalpabile fluido depressivo.
Ginetto non mi guarda più e mentre cammina cerca tra i suoi piedi ragioni migliori per non continuare a parlare di paesaggio. Capisco che la stiamo, come al solito, buttando in botanica.
Il paesaggio intorno ci opprime, è sempre più una sfida con i tratti di una causa persa.
Toh! Guarda quante graminacee (Stipa, Hyparrenia, Andropogon, Brachypodium, Dactylis, ecc.) si intessono, trama e ordito, in un lembo di prateria arida ritagliato tra incolti e costruzioni sparse.
Ah, siamo su un residuo di xerogramineto, uno di quegli orrendi seccumi pagliosi estivi che innescano irrefrenabili manie incendiarie in ogni salentino medio; ciò senza che essi debbano essere definiti per forza dei piromani. Anzi da questo punto di vista i salentini rappresentano una ferma eccezione. Poi se chiedi ai più colti tra loro, ti parleranno subito che si tratta pur sempre di piropaesaggi mediterranei.
Seguendo la rete ecologica si incespica in ogni direzione, gli argomenti mancano di una sintassi coerente, la vegetazione presenta il suo mantello scucito e tarmato. Una somma di specie vegetali non fanno che la flora di un luogo, fanno appena la sua biodiversità. Abbiamo visto altri posti in attesa di una direzione – che evitiamo però ancora di guardare.
Questa biodiversità, termine di gran moda, è quella che ormai mi pare abbia senso quanto una collezione di figurine di calciatori scambiate tra ragazzini molto entusiasti.
Se la biodiversità costituisce il cardine dell’organizzazione della vita sulla Terra, il suo ruolo ecosistemico nasce dalla coordinazione di funzioni (a dire il vero sempre poco studiate). In assenza di una tale integrazione non sarebbe possibile parlare davvero di biodiversità, ma solo di “presenza accidentale di diversi”!
Al rientro il mio amico Ginetto è sollevato, pare aver dimenticato subito la visione disbiotica di pocanzi. Mi rassicura, porterà in giunta comunale la proposta di fare una rete che non voglia catturare, ma semmai liberare, le forme di vita organizzata che fanno degli habitat, luoghi in cui vivere e camminare.
Qui in Salento gli habitat sono configurati più dalla storia che da una base vivente. Ma senza vita quale teatro avrebbe la storia, anzi le storie?