Quello salentino era un giardino di utilità e di bellezza.
Ogni pianta contribuiva al giardino finché si armonizzava con esso tanto da scomparire come singolarità e divenire paesaggio.
I giardini contemporanei sono giardini fatti non si sa bene per quale vero motivo.
Si sprecano configurazioni stereotipate e abusate; tutto deve essere ornamentale, esplicito, e soprattutto avere un aspetto di permanenza. Nessuna concessione all’effimero e al temporaneo.
Quindi solo piante poco cangianti durante le stagioni, alberi, ma solo sempreverdi, palme ma solo quelle iperboliche, siepi, ma solo quelle lucide e uniformi come una cucina componibile minimalista e pretenziosa, prati adamantini.
Si tratta insomma dell’epoca del giardino “total green”, del “basta che sia verde” (in tutte le stagioni).
È inevitabile allora che mi sovvengano le parole sapienziali del Tao Te Ching “Quando il mondo riconosce che il bello è bello nasce il brutto”.