Affiancare all’aspetto progettuale e formale, quello processuale e vitale. Dalla strutturazione, alla composizione, all’ambientazione: il comportamento del sistema non dipende solo dai suoi componenti, ma anche dal modo in cui essi sono combinati e disposti. Si tratta di indirizzare ciò che meglio si dispiega nelle modalità delle proprietà emergenti.
“Fate che la terra lavori per voi” è un celeberrimo motto di Russel Page, il grande paesaggista britannico che tanto ha lavorato anche in Italia. Benché egli abbia sempre privilegiato la struttura del giardino, è significativo che abbia anche rivolto grande attenzione a quanto di meno architettonico e più amorfo ci possa essere in esso, il suolo. Ciò è significativo perché insegna l’approccio giusto (forse l’unico possibile), che anche se si hanno grandi capacità professionali e importanti e prestigiose commesse, occorre comunque relazionarsi con umiltà, empaticamente ed in profondità al luogo in cui si sta lavorando cogliendo gli aspetti più biofili e sottili che permeano il contesto; capire le correnti aeree, andare a rasoterra alla superficie e anzi spingersi sotto di essa. Fermarsi a osservare, compilare una flòrula del posto su un quaderno da conservare.
Sono le forze ctonie a rimettere in gioco la vita e a farla emergere infine nelle forme vegetali che apprezziamo in un giardino. Cogliere ciò empaticamente, adattandosi al luogo nella sua intera dimensione verticale, d’altro canto come fare paesaggio se non lasciandosi fare da esso? La sua parte viva preponderante, la vegetazione (ed i suoi “amici” associati) necessita di essere compresa.
Nella nostra manualità creativa ci vedo il fallimento incombente e sempre mi sorprendo di come le piante comunque collaborino malgrado la rozzezza con cui sono trattate e con esse il suolo dal quale dipendono. I successi sono sempre maggiori di quanto ci avremmo scommesso! Insomma è inevitabile rapportarsi con giusta attenzione; solo il tempo e l’osservazione insegnano ciò; si progetta la vita delle comunità vegetali solo ubbidendole scrupolosamente.
Il paesaggista deve essere locale e piuttosto vissuto e soprattutto deve aver fatto tesoro dei tanti errori compiuti. Chissà se il paesaggismo di precisione (semmai si concepisca) magari con l’ausilio dell’intelligenza artificiale potranno mai sopperire alla affezione della terra…