Un cumulo di letame bovino su un prato stabile. Materia organica inerte e brulicante, depositata a maturare trasformazioni. Gli elementi chimici sono pronti per ripartire in un nuovo giro di giostra nella circolazione dei cicli biogeochimici eterni che fanno funzionare la catena della vita.
Per apprezzare certi paesaggi (amorfi) occorre sviluppare un senso di estetica ecologica, ovvero una capacità di percepire la bellezza di una relazione incarnata e durevole all’interno della comunità della vita del luogo.
Potremmo dire che la comprensione dei processi biologici spesso sovverte le impressioni superficiali: un cumulo di escrementi bovini! Ma potremmo aggiungere che “solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze” e anche, secondo la fenomenologia, che la percezione non esaurisce la conoscenza degli oggetti. È inevitabile che diventiamo sensibili alla compresenza del visibile e, insieme, dell’invisibile.
In questi luoghi silenziosi e ancora un po’ troppo secchi in apparente contraddizione all’ambiente subumido, pensieri poco rassicuranti mi accompagnano per i sentieri. Si tratta solo dell’interiorizzazione dell’allarmismo mediatico?
Mi sembra comunque che non ci sia continuità di corrente vitale tra le parti dell’ecosistema: ciò che percepisco con i miei sensi limitati è un “istato di souffrance”; disfunzione di una macchina inceppata in certi punti dove forse solo un giusto grado di umidità farebbe scorrere meglio i processi.
Si sa, entriamo nei posti portandoci dietro le nostre fissazioni cognitive e i nostri manuali di istruzione basati su modelli semplificati e parziali.
Tutto è allo stato semivivo o semimorto?
Forse la cosa davvero importante è essere ultravivi, noi stessi!