La botanica estemporanea è un modo personale, ma suggerito dai luoghi, di guardare ai paesaggi vegetali.
È lo sguardo del giardiniere errante che crea estemporanei giardini erratici, egli pratica un nuovo genere di giardinaggio, pone cornici virtuali lì dove un tempo avrebbe eretto pesanti recinzioni.
Poggia lo sguardo su luoghi casuali e v’intuisce un oltre.
Incornicia poesie di luce con parole appena sorgive.
Dal suo sguardo nascono paesaggi che diventano veri e propri giardini istantanei, auratici, gravidi di fantasticherie.
Percezioni fugaci, disegni di luce, foto-grafie, giardini con un bordo, con un margine che contiene una scena fermata nel flusso del divenire biologico.
E, proprio come il divenire vegetale, la selezione non distrugge ma trasforma e perpetua un’idea dei luoghi accompagnati da flore improbabili, di cui l’uomo non può far altro che prende atto.
Una breve scrittura di intervalli di stupore, fermati dall’obiettivo fotografico, che si propone ad altri sguardi per proseguirne il racconto.
Fotogrammi sul filo della personale riscoperta di vegetazioni estemporanee, dove la fitosociologia coglierebbe solo la realtà, del tempo e dello spazio.
È interesse della botanica estemporanea la casuale unicità della ri-combinatoria vegetale nei luoghi dell’uomo.
Essa si propone di far ri-vedere, con occhi nuovi, i luoghi di tutti i giorni, di far ri-vedere i luoghi, nella loro capacità di autorigenerarsi alla vita.
È più un modo di vedere che un dato oggettivo della realtà. A fare la differenza sono l’osservatore e il suo stupore.
Qui la fitosociologia non ha potere. Non è possibile prevedere l’imprevedibile ma solo aprire le porte della sorpresa.
Si tratta di una fenomenologia del trascurato, dell’ imperfetto e dell’ impermanente, del pacifico assedio vegetale alla civiltà umana. In questo senso la botanica estemporanea, con i suoi bozzetti, è essenzialmente una poesia della vita dei luoghi.
Qui si vuole riconoscere il basilare contributo della vita vegetale, sia pure nella dialettica negativa della distopia delle periferie urbane.
Questa neodisciplina tradisce una nostalgia della perfezione naturale e, insieme, la volontà di continuare a vedere anche in ciò che si presenta tanto diversamente, quanto inevitabilmente (e unicamente) bello.
Qui si considerano quei luoghi che nascondendo qualcosa, lasciano spazio ad una certa immaginazione: paesaggi vegetali imprevisti di un invadente (ma discreto) sistema vitale che non ammette vuoti, in cui una magica sintesi tra lotta e collaborazione traspare leggera.
La botanica estemporanea è, in un certo senso, l’applicazione vegetale dell’intuizione letteraria di Gianni Celati secondo la quale “esistono mondi di racconto in ogni punto dello spazio”.
Con questa visione paesaggistica del mondo vegetale provo a trovare una via d’uscita creativa da quella alternativa binaria in cui l’ideologia contemporanea tende a far deperire l’immaginario dei luoghi.
Nel pensiero del paesaggio vegetale, con la sua fenomenologia dell’adattamento, possiamo trovare l’opportunità per ripensare al nostro rapporto con il mondo ormai angustamente stretto tra la visione meccanicistico-funzionalista e quella arcaico-feticista, basata fondamentalmente sulla nostalgia e sulla rivendicazione.
La botanica estemporanea mette in conto la ricerca di un terzo sguardo, aperto e affettivo, su quanto di più comune ci circonda, dove, per questo, le parole, sono chiamate a svolgere un sottile lavoro per segnalare che anche nelle più improbabili e casuali composizioni vegetali c’è una possibilità d’incantamento. Quel incantamento che emerge dal luogo quando questo è guardato senza finalità e aspettative utilitaristiche.
Da agronomo, infine, parafrasando Vladimir Nabokov (scrittore ed entomologo): “non posso separare il piacere estetico di vedere una pianta (Lui parlava di farfalla) e il piacere scientifico di sapere che cos’è”.