Conferenza di Bruno Vaglio agronomo del paesaggio mediterraneo
“Botanica Estemporanea”: un modo personale di guardare e creare paesaggi vegetali
Arancera Orto Botanico – Roma 27.10.2021
Ascoltiamo oggi un agronomo pugliese che si è “inventata”, come lui afferma, una disciplina nuova per allargare il discorso della botanica, ritenendo che essa non si debba limitare a discernimento scientifico delle piante focalizzandosi sulla loro collocazione botanica, sul nome delle specie, sulla loro classificazione ecc., ma che preveda innanzitutto l’approccio personale, che prescinde dal tecnicismo e si manifesta nell’interazione emozionale umana, di meraviglia, poetica, di fronte ad un paesaggio naturale. Ci mostra a proposito un quadro di un pittore post-impressionista nel quale quasi non si distinguono le specie, ma dove si impone la dimensione artistica, cioè la reazione personale dell’autore rispetto alla visione del paesaggio. L’oratore specifica che non vuole con il suo discorso deprimere il ragionamento botanico, ma dargli una dimensione artistica, di sguardo intenso ai luoghi, facendoci “interrogare” da loro, coinvolgendoci nell’intimo. In questo modo possiamo apprezzare anche i più negletti di essi. Non solo, con questa impostazione si arricchiscono le conoscenze scientifiche, poiché è stata scoperta alla fine del secolo scorso da una università americana la cosiddetta “Plant Blindness” dell’uomo, cioè il fatto che noi tendiamo a non fare attenzione alle piante intorno a noi: retaggio a quanto pare della nostra necessità primordiale di sopravvivenza che privilegia gli animali. Oggi invece dovremmo superare questa “cecità” tipica dell’uomo primitivo, per intraprendere un percorso sistemico nuovo, planetario: considerate le sfide globali che ci attendono. Quindi, in sintesi, Vaglio suggerisce un nuovo sguardo della botanica, di valore etico, attraverso un metodo umanistico, ai fini di una migliore comprensione della complessità scientifica. L’oratore usa espressioni come “poetica dello spazio”, cioè l’affezione umana ad un luogo che rimane nel nostro immaginario: risonanza psicologica di immagini vegetali. Una concezione diversa che induce un’indagine più approfondita della natura, e fa apprezzare anche le piante umili, come muschi o sedani, come nelle foto mostrateci, sottoposte a filtro bianco e nero e colorato, come se fossero dei quadri, per ammirarne con calma la bellezza. Così risaltano presenze che suscitano stupore, che è padre della conoscenza. Anche nell’ambiente urbano, al centro di Roma -aggiunge- sono presenti specie vegetali interessanti: la flora ubica si forma interagendo con l’elemento antropico. E la sinergia fra l’uomo e le piante si evince anche dalla sensibilità che si nota nelle opere letterarie: una prospettiva diversa. Il paesaggio non è un panorama, afferma Vaglio. È un qualcosa di intrinseco nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente. È fondamento culturale. Invece negli studi ambientali il paesaggio viene considerato di solito solo tecnicamente. Eppure, nella nostra Costituzione all’articolo 9 si parla di “paesaggio”, non di “ambiente”. Salvatore Settis, archeologo, storico dell’arte, filosofo, professore alla Normale di Pisa, ritiene che il paesaggio sia il grande malato d’Italia. L’oratore cita anche Antonio Cederna; il primo ambientalista italiano secondo alcuni autorevoli esponenti attuali, che dedicò una vita alle battaglie contro la cementificazione selvaggia e in particolare allo stravolgimento del paesaggio tradizionale di Roma. Il verde e i monumenti antichi furono così in molti casi preservati. Vaglio specifica che la sua proposta non è “militante”: vuole semplicemente stimolare una riflessione nelle persone; un cambio di percezione. Mi sembra dunque che il suo obiettivo sia quello di sensibilizzare l’opinione pubblica. Ricorda Italo Calvino -figlio di due illustri agronomi- che “rifiutò” la scienza applicandosi alla letteratura, descrivendo appunto il paesaggio nel suo valore, che genera apprezzamento in chi non si ferma allo sguardo superficiale. Sorprende l’osservatore attento anche in luoghi ai margini di un’autostrada, ad esempio, dove si possono notare delle piante inusuali. La casualità ha un suo peso in botanica. E bisogna considerare anche l’evoluzione vegetale, della quale si accorse Goethe nella sua “Metamorfosi delle piante”, tratta dalle visite dell’Orto Botanico di Padova e di Palermo. Bisogna mettere insieme le conoscenze, in una visione leonardesca complessiva, altrimenti non riusciremo a superare i nostri problemi ambientali. Uscire dalla noia del vedere, come disse qualcuno, perché l’abitudine ci attanaglia nella nostra quotidiana tendenza di vita, distraendoci dalle meraviglie che possiamo incontrare, anche piccole, nel nostro cammino. Anche improbabili combinazioni vegetali di piante messicane con piante autoctone, ad esempio. Attenzione quindi ai particolari, come le bellissime foglie di cerro del Molise che Vaglio ci proietta in forma di “quadro”, artisticamente. Il giardiniere è un artista speciale, un individuo che si interessa delle interazioni; che non va più a creare cose nuove, ma recupera relazioni. La nostra comprensione della realtà si espande attraverso un’ecologia che riunisca arte e scienza, con una maggiore capacità di difendere l’ambiente. Dobbiamo avere, diciamo, una prospettiva fenomenologica, dove una realtà è parte di un disegno più grande. Guardare insomma come bambini sognatori, dove fantasia e realtà si confondono. Il sognatore è un soggetto contemplante, che va oltre le apparenze: “Per prima cosa meravigliati, poi capirai”, questo il motto che lui propone. In botanica spesso i fenomeni non sono di immediata comprensione scientifica, e sovvertono le previsioni, anche nell’autorigenerarsi delle piante. Inoltre, nel nostro Mediterraneo il 70 per cento della microflora tende a scomparire con l’arrivo del primo caldo: fioriscono e poi muoiono lasciando semi; nel progettare un giardino occorre tener presente innumerevoli fattori; anche l’orografia, che nel passato invece era rispettata, anche dai Romani. Se vogliamo avere consapevolezza ecologica dobbiamo uscire dall’antropocentrismo e guardare con occhi nuovi il mondo; a qualsiasi livello personale di cultura. Cézanne ha creduto di dover scegliere tra sensazione e pensiero, privilegiando l’organizzazione spontanea. Il pensiero cinese antico si concentra sul potenziale vitale naturale: non ha una metafisica del paesaggio. Nella stessa epoca il filosofo Aristotele, in occidente, razionalizza invece che accanto all’uomo ci sono delle cose. Noi abbiamo dovuto aspettare il 1700 per apprezzare il paesaggio: mille anni dopo la lezione del taoismo per tutto quello che compone il paesaggio, e l’atmosfera di questa composizione; insomma, l’arte dell’ambiente. Il più antico testo giapponese sul giardino,, il Sakuteiki, scritto tra metà e la fine dell’XI sec., riporta anch’esso l’interazione armonica fa l’uomo e la natura. In Occidente, il filosofo trascendentalista americano Emerson, disse che un’erbaccia è una pianta che non abbiamo ancora conosciuto. Ma l’ignoto può nascere anche da luoghi familiari, e il passeggiatore può fare delle incursioni urbane, come un certo professore di Roma Tre ai fini scientifici. Scorrono ancora le immagini, tra le quali quella di una pianta, la “Silene”, colorata, che cresce nelle spiagge pugliesi, molto bella. L’estetica ecologica sorregge molti ecologisti e l’ecologia “estemporanea”; prendendo in considerazione la poesia della vita dei luoghi, essa ammette la fenomenologia del trascurato. Infine, il nostro oratore ci spiega che la presenza accidentale in un luogo di piante diverse non crea biodiversità vegetale: essa si ha attraverso una coordinazione di funzioni che produce un ecosistema. La natura non ammette vuoti, tende a colonizzare tutto, con un equilibrio dettato da molti fattori, ed in ogni giardiniere vero esiste una nostalgia di perfezione naturale.
Roma, 27 ottobre 2021 Maria Luisa Guglielmi