In fondo ciò che cerchiamo sempre di fare nella vita, sono giardini.
Giardini sono le situazioni di piacere che ci creiamo, giardini sono le famiglie armoniose, giardini sono le amicizie, giardini sono i libri, giardini sono forse perlopiù illusioni che aiutano a vivere…
Questi giardini si distinguono da tutto il resto del panorama di grevità che porta tutto verso il basso, decomponendolo allo stato geologico e minerale.
I giardini potremmo con un’ardita invenzione semantica allora definirli dei puri “spazi antigrevitazionali” con il loro decorso rigenerativo e neghentropico favorito dalla vita delle piante che li popolano.
Giardini così sono luoghi del lasciar fare ai processi vegetali, solo appena declinati dal giardiniere. Tali spazi non possono essere, allora, che riflessi esteriori del paesaggio interiore di chi li cura. Sogni d’infanzia, antiche vedute baluginanti e approssimative.
Qui l’energia ecologica ha trasceso l’ambientalismo per un’arte scientifica creata attraverso una scienza artistica. C’è da credere che la natura abbia una natura non concettuale, ineffabile, indicibile: per questo la via per afferrarla, per capirla e forse anche per difenderla passa per l’arte.
Un racemo fiorale si distingue, emergendo appena sul tessuto foglioso*. Un lampo di definizione cromatica che ha la stessa durata dello sguardo pieno di stupore.
Pensavo a tutto ciò mentre il proprietario del giardino mi richiedeva consigli tecnici sul funzionamento dell’impianto irriguo automatizzato.
*Duranta repens sullo sfondo di Schinus molle