Ci sono luoghi che sembrano fatti per essere osservati di più di altri, almeno così mi pare. Se questi posti poi accade che si trovino lì dove si è costretti a fermarsi di tanto in tanto, l’osservazione diventa non del tutto casuale ed è quasi come essere osservati a propria volta dal luogo che invece è sempre al suo stesso posto.
Questo mi si contorce nella mente ogni volta che mi accade di dovermi fermare al semaforo e trovarmi inevitabilmente con lo sguardo nel giardino che contorna una abitazione proprio qui sull’incrocio.
È da tempo che volevo scriverne per spiegare, prima a me stesso, quelle sensazioni di assistere al lento, progressivo declino di quel giardino ricchissimo di piante. Deve essere stato un giardino molto amato, oppure erano molto amate le piante che vi conteneva, tante, tantissime, espressione di un collezionismo senza preclusioni: succulente, da fiore, cespugli, e poi, sul terrazzo, nei balconi, sotto gli alberi, un’infinità di variopinti vasi di plastica e pile vuote di terracotte di tutte le dimensioni.
I fiori della magnolia sfidano ancora il caldo torrido di questi giorni, ai lati dell’albero altre piante da fiore come l’eritrina a cresta di gallo, il maggiociondolo e un gelsomino giallo. Mondi botanici, talmente disparati da essere improbabile l’accostamento, messi insieme dalla passione per le piante che si fa perdonare qualunque eventuale critica da rigoroso paesaggista pedante.
A me questo sembra sembra un esempio concreto di quell’ancestrale sentimento di biofilia di cui parla E. O. Wilson.
La cronaca quotidiana di questa vista mi suggerisce che il giardiniere non sia più presente come una volta o forse che non ci sia proprio più. Il giardino ora mi suggerisce solo decadenza.
A mancare è qualcosa a cui non vi si può porre rimedio: la presenza del giardiniere che, fino a non molto tempo prima, era stato lì appresso a quel bene vivente. Sebbene mi sembra che non manchi la manutenzione, vige una impalpabile polvere stradale che rende apatico anche il più arancione emerocallide di inizio estate.
Ma non credo si tratti della fine del giardino, piuttosto la fine di quella combinazione unica. La fine dell’”effetto personale” del suo giardiniere.
Allontanandomi, non posso non pensare, che mentre il tempo passava, il giardiniere, non se ne avvedeva affatto, immerso com’era, tra quelle promesse viventi. Almeno questo ho immaginato!