In un campo sospeso sul monte, poco a sud di Anzaldo ho forse solo sognato un pomeriggio di pace.
Mi è rimasto il desiderio di restare lì a respirare per sempre quell’aria fina, vivendo per vivere, per l’essenziale.
Stare davanti al campesino Tarabuco ho ricevuto una tacita e pura lezione di vita. Ci potremmo chiedere di che lezione si tratti, viste le difficoltà per semplicemente esistere. Dietro di lui una struttura-riparo, e tra lui e quella “casa”, la sua piccola moglie, acquattata, sul campo, quasi aderente, a sarchiare e scerbare i filari di patate. Patate, chiamate “papa”, millenario cibo, che qui è difficile pensare semplicemente come tuberi, per le loro calorie e il loro sapore. Attaccata al monte, questa coppia, che ignora persino la propria età, sembra contenta così. Forse perché non ha troppo tempo per pensare, e non solo ad alternative di vita moderna. Esistenza intensa e diretta e intrinsecamente contemplativa. In verità non saprei dire se “contemplazione” sia la parola giusta per questo stato mentale. In questi luoghi forse si è più che altro contemplati, passivamente dallo spazio, a cui è impossibile sottrarsi, così avvolti dal silenzio senza tempo, nelle alternanze dei ritmi cosmici, climatici e meteorici.
Il solo pensare che avremmo voluto migliorare le loro condizioni di vita, mi è sembrata pura presunzione da inurbati moderni. Mi sarebbe bastato averli sognati, per sperare che forse esistono da qualche parte ancora altri mondi almeno da immaginare se non da vivere.