Pieni e vuoti, volumi biologici e minerali che si alternano. Nuvole di foglie nel proprio ordine fillotassico e pareti lapidee con i loro cristalli molecolari. Tensioni estetiche avverto fra parti. Quanto caso c’è nel palinsesto urbano che guardo? Quanto di questo è stato stabilito esattamente per essere così come lo vedo adesso? Intrecci casuali di rami che portano gemme, germogli, rami, branche; alberi sovrapposti ad alberi, una teoria frattale di reiterazioni illimitate che si ripetono: “alles ist blatt!”(tutto è foglia)
Qui il paesaggio è arboreo di alberi urbani che non saprebbero più vivere in campagna.
Come paesaggisti guardiamo l’insieme e da arboricoltori la parte.
È tutto uno scalare, dal particolare minuto al complessivo e viceversa. Ci serve indagare l’invisibile come ciò che, perlopiù, sostiene il visibile.
“La vita (ci rammenta Simmel) ha bisogno di forma
ma non può resistere dentro le sue forme che deve rompere e oltrepassare ogni forma che la produce.”
Tra gli intrichi opportunisti delle reti radicali, vita microbiologica accompagna e sostiene quella vegetale.
Microbi e fibrille di cellulosa (potrebbe essere il titolo) dell’opera arborea e forestale della città olobiontica contemporanea. Ma qual è per il paesaggista-arboricoltore lo spazio e il tempo in cui provare ad essere contemporaneo dell’opera?
Si rischia la nevrosi a pensarci troppo. Per salvarsi si deve stare nel flusso! Non sarà rigoroso come metodo, ma sufficiente a sostenere l’incantamento urbano che ci circonda. La condizione migliore è forse quella di lasciarci andare alla corrente dissipativa che circola e spera di poter durare.
Il paesaggista in fondo opera (consapevole o meno) con i metodi della botanica estemporanea.