Stamane al risveglio (ma forse sognavo ancora) ho immaginato come sarebbe stato, se uscendo di casa, mi fossi ritrovato in un paesaggio differente da quello che conoscevo. Subirei una sindrome da straniamento o la prenderei solo come una forma strana di viaggio stanziale? Poi, solo dopo il caffè, ho razionalizzato meglio.
Perché, i luoghi, non cambiano forse continuamente? Non sarà il mio solo un difetto cognitivo, quello di concepire una sorta d’immutabilità dei posti? Oppure il mondo esterno non funziona forse come un vaso spirituale difficile da cambiare senza compiere inenarrabili danni?
Giocare con delicatezza deve essere allora il modo migliore di avere a che fare con il mondo. La creatività umana trova limiti solo perché la si crede un’attività autonoma, quasi personale, invece di pensarsi, ognuno di noi, semplice strumento di essa.
Anche nell’intervenire nel paesaggio si parte dalle tracce. Disseminate lì fuori giacciono rovine litiche e sali minerali, che solo le piante riportano al livello vitale planetario di gaiezza vegetale. Passando da i fotosistemi, alle membrane cellulari, ai cloroplasti, alle piante… le piante sono le vere paesaggiste, a noi spetta eventualmente solo favorirne il decorso. In esse c’è già il programma.
Lo spazio aperto andrebbe forse pensato tutto assieme, a partire dallo spazio compreso tra le nostre tempie. Mi pare che siamo sempre più simili a cassettiere del ferramenta o di una farmacia moderna. Solo attrezzi e molecole per aggiustare manualisticamente il decorso dei luoghi. Per capirlo basti riflettere che tutti si accorgono del paesaggio danneggiato, pochi di quello negato dove intere contrade sono frazionate e murate in innumerevoli piccoli regni adespoti e dalla improbabile toponomastica. Qui trovi privatizzato anche un cielo, paziente! Sulle campagne delle “zone” senza più agricoltura, disseminate di villette geometrili (definizione celatiana), lo sguardo è semplicemente negato. Le commissioni paesaggistiche dei comuni si riuniscono nel mentre per esaminare quali rivestimenti siano più in armonia con il panorama prevalente.
Tutto ciò sarebbe grave (e forse anche serio) se non fosse che il paesaggio è miraggio, fata morgana, illusione che la cosiddetta natura abbia un disegno.