Fare cose durante i primi giorni dell’anno apre a nuove modi di sentire.
Camminare in spiaggia non ha a che fare più con la salute fisica o con le scienze naturali.
Come in tutti i luoghi di confine, occorre non fissarsi sui particolari ma accettare la mescolanza dei mondi che vi si affacciano come una cosa ignota da festeggiare per la sua novità e senza altri seppur motivati interessi.
Poi, la notte, solo prima di andare a letto, capita di ricordarsi di essere stati in riva al mare ed è la sabbia che cade dalle scarpe a ricordarlo. Nel tentativo di prendere sonno le immagini risvegliate ritornano e fanno il giro del respiro fino al trapasso nel sonno.
Ora può accadere di non distinguere più, oltre il candore della sabbia che abbacina i sensi nella sonnolenza, la tassonomia botanica di quel mondo poroso e giustapposto tra la crudezza del mare e l’aspra stasi dell’entroterra. Qui, sul margine, non è deciso nulla e le piante sono forme, apparenti entità attuali. Delle euforbie* marittime si sente il latte dentro e verrebbe quasi voglia di allestire loro intorno un ultimo presepe di conchiglie.
*Euphorbia paralias